Da balbuziente ho sempre definito la balbuzie come il carcere delle parole. Questo perché all’inizio della frase, durante i blocchi, sapevo perfettamente cosa volevo dire, ma la mia bocca me lo impediva. Insomma, un vero e proprio carcere per le mie parole, e soprattutto per i miei pensieri. E’ inutile parlare della mia vita da balbuziente, è esattamente la stessa del 99% delle persone che leggeranno questa testimonianza. Quindi, piuttosto, vi racconto di come è cambiata la mia vita dopo aver seguito il corso di Giuseppe Coppola.
La tecnica che avevo imparato mi ha subito liberato dal carcere di cui mi sentivo prigioniero. Riuscivo a trasformare il pensiero in parola correttamente per la prima volta nella mia vita.
L’entusiasmo divenne la molla che mi portò a “vincere” in tutte le situazioni nelle quali ero sempre stato sconfitto.
Riuscivo ad ordinare caffè, panini, bibite senza balbettare. Poi, quella stessa molla che mi aveva catapultato in alto, mi scaraventò in basso. L’entusiasmo ad un certo punto finì, e con quello anche la mia autostima. Non tornai a balbettare, soltanto perché mi aggrappavo costantemente alla tecnica, unica arma che mi restava per combattere i blocchi.
Lì capii che la balbuzie non era soltanto un problema “tecnico”. Non si trattava di un’influenza che va via con un po’ di antibiotico. La balbuzie è un modo d’essere, è un modo di affrontare la vita, è un alibi, è un modo per rinunciare. Non era solo “blocchi evidenti”. C’erano tutta una serie di blocchi che non si manifestavano sulle labbra, ma dentro di me. La verità è che continuavo a comportarmi da balbuziente. Ad esempio, se a casa squillava il telefono continuavo a cercare scuse pur di non rispondere, nonostante attraverso la tecnica non avrei balbettato.
Continuavo ad avere tutti quei blocchi interiori, che non manifestavo, ma che contribuivano a blindare l’essere balbuziente dentro di me. Arrivò il momento di fare i conti con me stesso. Arrivai al bivio: abbandono la tecnica e continuo a nascondermi dietro la mia balbuzie, oppure continuo ad aggrapparmi alla tecnica con la consapevolezza di dover “combattere” contro me stesso. Questo è il vero insegnamento del corso.
La balbuzie evidente mi aveva stancato troppo, forse più di quanto mi era utile la balbuzie interiore per continuare a nascondermi. Perciò iniziai a “combattere” con consapevolezza. Da lì è iniziato un percorso che credo non si concluderà mai. E’ iniziata la mia crescita. Il corso di Peppe mi ha aperto il cancello della prigione, non mi ha condotto in cima all’Everest, ma mi ha dato gli strumenti e indicato la strada.
Ho iniziato a camminare per la prima volta, a muovere un passo dopo l’altro. Sono caduto, mi sono rialzato mille volte. Oggi non so a che punto della scalata dell’Everest sono arrivato; in realtà non so neanche cosa ci sia di preciso lassù in cima. So solo che la prigione è troppo buia per tornare indietro e che durante il percorso fatto per arrivare fin qui mi sono divertito troppo a scoprire chi sono diventato.
Eh già… sarebbe proprio un peccato tornare indietro.