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Laura

Nascere nell’Oggi.

Il suono del silenzio strideva quando il mondo richiedeva parole, quando l’arcobaleno cercava di entrare passando attraverso la pelle, e la comunicazione, semplificata dall’uomo in un codice, mi chiamava a tradurre in concetto ciò che io percepivo come sensazione o immagine.

Prima avrei accettato questa regola [il mondo richiede parole] prima avrei cessato di vivere “staccata” dal normale corso degli eventi e avrei cominciato a vivere secondo natura, infatti, perpetuando l’isolamento, hai solo l’illusione di rispettare la tua indole che viene invece snaturata e sterilizzata, per essere poi relegata ad una dimensione insondabile; la consapevolezza di un tale “errore comportamentale” non riduce però quel senso di angoscia e dell’incerto che suscita il pensiero di abbandonarlo per sempre, nonostante dilati le ore in luoghi dove l’aria si fa satura di insoddisfazioni.

Nel mio caso, non sarebbe bastato uno slancio, una Volontà di Forza, occorreva violentare gli impulsi poiché la naturalezza di un agire dannoso può essere sovvertita solo dal provocare in sé un agire volto unicamente ai propri bisogni: ero sì portata ad agire in maniera distorta ma con la certezza indissipabile di avere le stesse necessità degli altri.

La ripetizione di una tale “chiusura” mi portava ad una sorta di negazione della mia identità, ogni volta che si presentava l’occasione di uscire dalla gabbia sceglievo di rimanervi, spaventata dalla libertà che non conoscevo e di cui temevo l’esito: un’interiorità, la mia, incapace di amarsi e di agire “per se stessa” che preferiva andare “contro” natura piuttosto che rischiare di perdere la sua “stabilizzata miseria”.

Non sarebbe stato neppure eroico il volgermi verso il buon senso, sarebbe stato semplicemente umano; non si può però affermare che il sistema di allontanamento mi avesse disumanizzata, anzi, la capacità cognitiva non era stata lesa in nessun modo, si può forse supporre che fosse stata compromessa la parte istintuale più vicina all’animale e racchiusa nell’idea del rischio.

In altre parole, arrivavo ad un punto in cui non facevo più rumore, non parlavo mai a voce alta o mi astenevo, non cantavo usando la voce ma pensando la musica, non amavo aprendomi all’altro ma cullandomi nel mio cuore, non giocavo con le mie armi ma cercandole negli altri o in un altrove inesistente che sempre di più mi sparigliava dal presente e quindi dalla vita stessa.

Tutto questo è un sacrilegio indegno di stima oltre che complicato da descrivere, è come se stessi rimandando al domani il mio oggi, come se avessi potuto farlo per sempre e la mia pelle non fosse destinata alla decomposizione. La Fine non pareva sufficiente a darmi “la voglia” di fare un tentativo e non capivo per cosa, se non per me stessa, avrei dovuto fare il salto che mi avrebbe condotta dall’altra parte del fiume facilitandomi la risalita verso una stabilità emotiva.

Nessuno poteva insegnarmi ad amare me stessa, lo dovevo fare io, può sembrare assurdo ridurre ad un’azione qualcosa che dovrebbe essere insito nell’uomo ma per guadagnare quello che mi mancava avrei dovuto costruirlo: inizi ad amare davvero qualcosa quando sei in grado di compiere verso di essa un gesto per avvicinarla a te, di contro sarebbe un sentimento fossilizzato e vano.

Per dare vita al mio Oggi dovevo parlargli, dovevo fare rumore, invitarlo a danzare, dovevo guardarlo al suo centro e dirgli: “Scusa se non ti ho mai amato, proverò a farlo da ora per ripagarti di tutto ciò di cui ti ho privato, farò qualcosa per te e impegnerò tutte le mie forze per salvarti perché sarai per sempre Tutto quello che ho”.

Perché lasciarsi sostenere dall’unica cosa che può, oggi, incoronare il tuo pensiero, è quella roccia in mezzo al fiume in piena che impedirà alle correnti di portarti via.

Il luogo in cui mi trovo adesso non contiene più quell’aria satura d’insoddisfazioni, è un posto creato dal lasciarmi sostenere dal metodo Coppola e che mi consente di vivere pienamente, intensamente, i pregi e i difetti di questa strada e della mia personalità: un posto che non meritavo di abitare ma che oggi è il ciondolo più bello che possiedo, fatto di una libertà conquistata che rende speciale ogni mio risveglio, quella di puntare sulle mie risorse. Una nuova realtà che dà brividi di felicità, come la possibilità di parlare al passato di qualcosa che stava rischiando di cancellare nel mio cuore la capacità di amare, un’emozione che non potrò dimenticare mai, una goccia di rugiada dopo la tempesta o forse solo lei, la Vita, così giustamente spietata a causa della sua bellezza! Ho imparato che ho tanto ancora da imparare e da sognare, ho imparato che so cadere e sbagliare, che essere imperfetti non è un crimine, ma se c’è una cosa che non voglio imparare è sentirmi “compiuta”, voglio che ogni mio passo possa migliorarmi all’infinito, che ogni parola si liberi di quell’importanza esagerata che la schiavitù le ha conferito e tramuti i suoi forse in verità.

[— Ricordo come fosse ieri il momento in cui pensai “non scriverò mai la testimonianza di una vittoria”, per questo motivo e un po’ per buffoneria concluderò così: Bologna, 15 Giugno 2011/ testimonianza di una vittoria —]