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Saverio

Esperienze, sensazione e desideri del “dopo corso”

Digitando su internet la parola balbuzie vengono fuori varie associazioni e ognuna ovviamente ti promette cose belle. Così è stato anche per me, peccato che nessuno spiegava, se pur in modo approssimato, come intendevano aiutarmi.

Quello che ti spinge a cercare sempre di più è la convinzione di trovare qualcosa che sia davvero efficace, e sicuramente trovi tante promesse e molte speranze.

Quindi cominciai a fare un piccolo giro di telefonate informative per capirci qualcosa in più. Tra le varie, la domanda con cui finivano sempre le mie telefonate era: e dopo il corso?

Ho sempre pensato che se uno balbetta da trent’anni, non può smettere in quindici giorni; anche se speravo che qualcuno potesse smentirmi. Perché, come si sa, balbettare non è solo incepparsi con le parole, ma qualcosa di più. Sicuramente il sentirsi dire che dopo il corso avrei avuto qualcuno che avrebbe continuato a darmi suggerimenti, a cui potevo chiedere consigli e con cui mi sarei potuto confrontare è stata una notizia molto importante, evidentemente, questa mia necessità rifletteva la mia insicurezza e il pesante fardello degli insuccessi passati.
Finalmente ho trovato il corso! Ma la prospettiva era ancora più bella perché questi, compagni di viaggio, erano ragazzi come me e condividevano il mio stesso grande desiderio.

Al corso non si impara solo una tecnica, o meglio dire, una nuova lingua, ma vengono affrontati, anche se naturalmente solo come input, altri aspetti di quello che vuol dire essere balbuziente. Non si possono affrontare tutti gli aspetti della balbuzie in un tempo così limitato, oltre alla naturale propedeuticità necessaria tra le varie “fasi”, e per questo il dopo corso costituisce una parte importantissima del nostro percorso.

Quando comprendi che devi andar fuori e parlare con la nuova lingua, tutto il tuo essere balbuziente subisce un forte impatto; lo sentivo dentro di me, lo vedevo nei miei “colleghi” adulti ma anche nei giovanissimi.

A quel punto due sono le strade: o ti butti con convinzione o tiri i remi in barca e facendo finta che non sia accaduto niente e ti allontani scomparendo nella fitta nebbia della tua vita.

Ovviamente meglio la prima! E da questo momento comincia il DOPO CORSO.

In tutto ciò che viene dopo il corso c’è bisogno di una forte determinazione e costanza. Cominci ad andar fuori ad affrontare le situazioni di sempre, con le paure di sempre e senza la consapevolezza di quello che puoi fare.

TALE CONSAPEVOLEZZA  E LA CONSEGUENTE FIDUCIA SI ACQUISISCONO IN UN UNICO MODO, COMINCIANDO AD AVERE DEI SUCCESSI E GODERSELI.

Questi sono più facili da raggiungere nelle situazioni familiari e di routine, in cui si ha la possibilità di mettersi in gioco costantemente e in cui un passo falso ti costa poco. Ci sono, invece, situazioni meno consuete, che presentano difficoltà maggiori, e verso le quali non si ha l’opportunità di provarle in continuazione, situazioni in cui è forte la paura di parlare, di balbettare e di mostrarsi “diversi”.

Affrontare quest’ultime situazione condividendole con altri (in vario modo, diretto o indiretto), può essere molto utile, sia per la sicurezza che ti dà l’avere un appoggio e sia perché quando non va come speri hai qualcuno che può aiutarti a correggere i tuoi errori.

Quello di cui senti la mancanza dopo il corso è sicuramente il confronto diretto con l’”insegnate” al quale in due settimane sei abituato, ma d’altra parte questo ti spinge a trovare le tue soluzione, per forza di cosa devi lamentarti meno e magari cominci a vedere una situazione andata male come una nuova sfida con te stesso e non solo come una sconfitta.

Per quelli che sono gli incontri di gruppo invece, ritengo sia necessario distinguere due casi, in base alle fasce d’età. Per i più piccoli un approccio del tipo insegnante-alunno può essere proficuo, improntato a portare un risultato predefinito ad ogni incontro. Loro seguono alla lettera quello che gli viene detto, non hanno dubbi sul risultato ed hanno un bagaglio di figure di m…a relativamente leggero.

Per gli adulti, invece, lo stesso rapporto potrebbe non essere la via più efficace, prediligendo invece un ruolo più “attivo” nel gruppo, che in qualche modo lo responsabilizzi verso gli altri e verso se stesso e che lo faccia sentire partecipe e parte integrante di un cambiamento. Questo implica il non presentarsi all’incontro solo per sentirsi dire qualcosa, ma anzi per dare qualcosa agli altri e a sua volta apprendere dagli altri e dalle loro esperienze.

Tutto ciò può avvenire tramite un intenso scambio di esperienze e di stimoli positivi, fissando dei traguardi ben determinati da raggiungere in un tempo definito.

Fino ad ora non ho avuto modo di provarlo. Se ad esempio viene fuori un problema, si definisce la strategia di approccio alla cosa e la volta seguente si ritorna all’incontro con un risultato concreto in tal senso.

Una osservazione che mi capita di fare spesso a mie spese, riguarda i successi. Questi una volta ottenuti, non durano in eterno, il proprio modo di essere facilmente ritorna sui suoi passi, basta che si abbassa un po’ la guardia. Quindi ottenuto un successo, questo va coltivato, magari riprovando la stessa situazione il maggior numero di volte possibile, costantemente nel tempo e condividendoli con gli altri.

I momenti negativi li raccontiamo e li analizziamo, anche con l’aiuto degli altri, i momenti positivi, invece, vanno goduti, facendoli diventare nella nostra mente e in quella altrui, delle esperienze entusiasmanti da ripetere assolutamente.

Quello che manca spesso è la definizione di una strategia di crescita ben precisa, sicuramente non potrà essere la stessa per tutti, ma avere in mente degli obbiettivi chiari da raggiungere può essere più efficace dello sparare a zero su tutto, sperando di cogliere qualcosa.

E perché no, si potrebbe creare addirittura una situazione di sfida e di sana rivalità all’interno del gruppo, intensa non in termini egoistici, ma solidali.

Personalmente ho difficoltà in situazioni, anche di poco fuori dalla norma, addirittura nel “ricordarmi” della tecnica. E non si può risolvere tutto dicendo: “Tu hai deciso di non applicarla”.

È così ma cerchiamo anche di comprendere insieme quali sono gli eventuali vantaggi che ti hanno spinto a non applicarla, per capire quanto questi in realtà sono frutto dell’essere balbuziente e non sono dei vantaggi, ma dei legacci in più che ci tengono bloccati e dei modi per nascondere la nostra personalità.

Solo così riuscirò a vedere quella stessa situazione in un’ottica diversa. È questo il concetto di condivisione che deve animarci.

Tutti noi arriviamo da storie ed esperienze diverse, ma ad un certo punto della nostra vita ci siamo ritrovati insieme in una stanza a imparare qualcosa di nuovo e ad ascoltare chi prima di noi ha fatto già questa esperienza, e da qui siamo ripartiti, ognuno per il suo cammino, ma per cosa….riprendere forse la vecchia strada? Impossibile! La tua strada deve per forza cambiare, non puoi riprendere la stessa di prima, altrimenti non arrivi da nessuna parte, o comunque non dove vuoi tu. Il cambiamento tanto auspicato, non avviene certamente nella gente e nei luoghi che ti circondano, quando molto di più deve avvenire dentro di te, dove inizia la sfida tra quello che sei e quello che vorresti essere.

Allora mi chiedo…come aiutare questa voglia di cambiamento e vincere la propria sfida? Ho in me tutta la forza necessaria?

Forse sì o forse no…o magari c’è ma in qualche modo non viene fuori. È qui allora che c’è bisogno di una famiglia, di una grande famiglia che conosce bene tutte questa cose, che le ha vissute di persona e soprattutto è desiderosa che tu riesca in questo. Il suo sostegno non è solo morale, ma è un impulso concreto in questo cammino.

Certo ognuno ha le sue esperienze, i suoi desideri, sogni e progetti per il futuro e quindi non è del tutto facile individuare un percorso univoco per tutti dopo il corso, ma credo sia comunque importante individuare dei passi ben precisi, che consentano a noi stessi ed alla nostra “famiglia” di avere dei “parametri” concreti per valutare il nostro cammino, sostenerlo e correggerlo.

Il nostro percorso ha due componenti fondamentali, quella tecnica e quella della crescita caratteriale.

La prima, ovviamente, è il punto di partenza.

Probabilmente pur mettendoci tutto l’impegno possibile, ma senza affidarsi a qualcosa di solido, il nostro sforzo risulterebbe inutile, quante volte ci abbiamo provato?

Il solido appoggio è per noi la tecnica. Questa richiede ovviamente tempo per essere “metabolizzata” e poi perfezionata nelle varie situazioni della vita.

La fiducia e la padronanza di questa non si acquisisce per tutti nello stesso tempo, personalmente dopo oltre tre mesi dal termine del corso creso di avere ancora molta strada da fare.

Per raggiungere questi obiettivi, è richiesto essenzialmente esercizio, che a me piace suddividere in tre fasi, tante quante sono le difficoltà che incontro.

Queste sono: la perfezione tecnica unita al tono della voce; il mantenere la concentrazione sugli esercizi in discorsi articolati o relativamente impegnativi sia per contenuti, conoscenze, stati d’animo e emozioni; ed in fine guardare alla tecnica come qualcosa di positivo e non qualcosa che ti faccia sentire “diverso” dagli altri.

(A mio avviso la cosa fondamentale è l’individuazione dei problemi, poi per come affrontarli e risolverli ci possono essere varie soluzioni, varie strade più o meno efficaci caso per caso).

La perfezione tecnica è il fondamentale punto di partenza e qui si parte dal famoso esercizio allo specchio, tutti noi abbiamo imparato a comprenderne l’utilità, finalizzato sia al raggiungimento tecnico che a quello dell’immagine che vogliamo dare agli altri del nostro parlare.

Inutile dilungarsi, sappiamo già!

Questo tipo di esercizio non comprende un fattore importante della comunicazione, che deriva dal relazionarsi con gli altri, e quindi le emozioni, stati d’animo, ansia. In tal senso, sviluppare discorsi allo specchio concettualmente complessi e ricchi di emozioni è positivo, ma lo sguardo di una bella ragazza che ti ascolta, con la quale desideri assolutamente fare bella figura….è insostituibile!

Il gruppo si dimostra molto utile per quella che io ho chiamato la seconda “difficoltà”, la concentrazione sugli esercizi.

Nelle situazioni quotidiane spesso si ha difficoltà nel mantenere la concentrazione sugli esercizi, in particolare nel progredire del discorso. Dopo un po’, senza rendertene conto, l’attenzione passa dell’esercizio a solo contenuto, sia che l’eloquio si mantenga fluido o meno.

Questo a mio avviso è un ostacolo importante da superare, certo quando siamo nel giardino di casa ci sentiamo grandi oratori rispetto alle formiche che popolano i nostri piedi, ma la difficoltà di pensiero che troviamo nel relazionarci ad un altro essere della nostra specie è cosa diversa.

In questo gli incontri dell’associazione ci vengono in aiuto, sì, bene o male ci conosciamo nel gruppetto, siamo in situazioni di ansia relativamente bassa, ma c’è un fattore importante, quello dell’imprevedibilità, non siamo soli a parlare a noi stessi, ma con altri, i quali possono risponderci nei modi più disparati possibili e noi su due piedi dobbiamo rielaborare qualcosa di nuovo per essere più convincenti. Il tutto fatto ovviamente in un certo modo, cioè tecnicamente perfetto.

Esprimere i propri concetti e punti di vista, sviluppati con un gruppo di frasi, anche lunghe e articolate. La stessa cosa fa il nostro interlocutore, e noi di nuovo dopo di lui. Lo scopo di questo esercizio è l’abituarsi ad esprimere concetti sufficientemente complessi e contemporaneamente abituarsi a mantenere la giusta attenzione alla tecnica, sotto l’occhio attento dei nostri interlocutori, fuori nessuno ci correggerà sulla tecnica, nel gruppo sì.

Il terzo punto è quello del senso di imbarazzo che a volte si può provare nell’andare in giro a spalancare la bocca e, per quanto mi riguarda, a mantenere un tono che a me non piace. Ma attenzione, siamo passati in un contesto diverso, dove non siamo più protetti, ma esposti agli altri, nelle situazioni di vita reale.

Qui entra in gioco l’affidarsi alla tecnica e averne padronanza. Entrambi questi aspetti vanno rafforzati affrontando le varie situazioni e dominandole, solo così si comprende veramente il valore di quello che si è in grado di fare e viene da dire:  “voglio bene” a questa tecnica. Fa paura ma l’unico modo per superarla è affrontarla.

Per far questo ci vuole forse la stessa determinazione che bisogna avere per dire al mondo: “Io balbetto!”. Quante volte abbiamo cercato di nascondere la nostra balbuzie standocene in silenzio, stando lontano da chi avrebbe potuto chiedere la nostra opinione, la “vergogna” di parlare con la tecnica è la stessa cosa, non voler far vedere agli altri che c’è qualcosa di diverso.

Io ho adottato un metodo per cominciare ad affrontare le varie situazioni, ho pensato ad un programma. Innanzi tutto ho fatto un elenco di situazioni tipiche ed ho iniziato ad affrontarle singolarmente, partendo da quella che mi sembrava più abbordabile, passando alla successiva quando la precedente non era più un muro invalicabile, ma un prato dove passeggiare a piedi nudi.

Ci sono errori di cui noi stessi non ci accorgiamo, tecnici, di approccio, di sguardo, e in questo se non si riesce autonomamente, un accompagnatore può dare le giuste indicazioni  o anche per prendere fiducia, aspetto quest’ultimo spesso determinante.

Per quanto riguarda invece il percorso che ci porta a crescere caratterialmente ho cercato di individuare alcuni punti fondamentali, che discendono essenzialmente dalla mia esperienza personale, ma ordinati seguendo un percorso proposto in un libro interessante “Le vostre zone erronee” Guida all’indipendenza dello spirito di W. W. Dyer.

Non tutti si ritroveranno in quanto sto per dire, ma in ogni caso è importante schematizzare questo percorso, al fine di poterlo controllare e valutare. (in corsivo riporto le citazioni del libro).

I punti da affrontare sono i seguenti:

  • amore verso se stesso
  • auto connotazioni
  • esplorare l’ignoto
  • smettere di rimandare

può darsi che soffra di una di quelle malattie sociali che non se ne vanno con una semplice iniezione. È possibile la sinapsi della scarsa stima in te stesso ti abbia infettato, e l’unica cura che si conosca è una massiccia dose di amore verso te stesso.

Questo è il “primo” amore, l’amore verso se stessi che bisogna imparare ad alimentare e far crescere.

Si è in grado di amare gli altri e tutto ciò che ci circonda solo amando se stessi, concedendo prima a se stessi e agendo per il proprio beneficio.

Il tuo valore intrinseco, quell’ombra amica sempre presente, colei che consulti ai fini della tua felicità e padronanza personali, e le tue auto-valutazioni devono essere irrelati.

Quel che vali è determinato da te, e non occorre fornire spiegazione. Il tuo valore è un dato di fatto, non ha nulla a che vedere con il tuo comportamento, con le tue sensazioni, emozioni e stati d’animo. Può darsi che il tuo modo di fare in un dato contesto non ti piaccia, ma ciò non ha rapporto con il tuo valore intrinseco. Puoi decidere di avere sempre valore per te stesso, e lavorare sulle immagini che ti sei fatto di te.

Trovo molto bella quest’ultima frase, partire dalla consapevolezza del proprio valore e lavorare su ciò che di noi non ci piace e sull’immagine che questo dà.

Amare se stessi vuol dire non lamentarsi. La lamentela è tipica di chi non ha fiducia in se stesso.

Il lamentarsi…riduce le occasioni di migliorare i rapporti d’amore e di ampliare quelli sociali.

Si attirerà l’attenzione su di sé, ma non senza scorgere delle ombre sulla propria felicità.

Ma perché si sceglie di non amarsi?

Può darsi che sia più facile acquistare la merce che gli altri ti hanno detto di acquistare, che non pensare con la tua testa.

Potrai evitare tutti i singoli rischi che comporta lo stabilire rapporti…con altri, quindi potrai eliminare ogni possibilità di essere respinto o disapprovato.

Rafforzerai la tua abitudine ad appoggiarti agli altri attribuendo loro un’importanza maggiore di quella che attribuisci a te stesso.

Non sarai in grado di prendere le redini della tua vita e di viverla come vorresti, per il semplice fatto che non ti sentirai degno della felicità che desideri ardentemente.

Il percorso verso l’amor di sé parte ovviamente della propria mente e dal decidere di agire diversamente ogni volta che scopriamo di non esserci amati abbastanza.

Stabilito il concetto dell’amor di sé, un altro obiettivo molto importante è quello di liberarsi dal passato.

Spesso portiamo ben attaccate su di noi delle “etichette” che possono essere di due tipi: quelle affibbiate dagli altri, che portiamo addosso da bambini, difficili da togliere e da individuare e quelle che sono il risultato di una nostra scelta, delle auto -connotazioni create ad hoc per evitare le difficoltà, e generalmente, per sfruttarle a nostro vantaggio.

Una di queste può essere: sono timido, riservato, ho paura…

Scegli tale comportamento perché ti permette di non affermare la tua personalità in situazioni che per te sono sempre state ostiche.….ti aiutano a scansare l’ardua impresa di essere diverso da come sei sempre stato. … annulli il concetto che tu possa scegliere la tua personalità … .

Certo oramai queste “auto-connotazioni” fanno parte del proprio equilibrio, non espongono a rischi, ma proprio per liberarsene bisogna correre dei rischi.  Ho alcuni suggerimenti per far questo:

stabilire dei traguardi comportamentali per agire in maniera diversa dalla consueta. Se per esempio ti consideri timido, presentati proprio alle persone che in circostanze normali avresti evitato.

Decidere quali auto connotazioni è più importante eliminare e chiedere alle persone che ti sono vicine (ad esempio il gruppo) che ti rammentino il tuo proposito e seguano il tuo percorso di crescita. A questo punto, pieni di amor di sé e liberi dei fardelli cosa ci rimane da fare?

Esplorare l’ignoto!

L’apertura a nuove esperienze è in ogni caso uno stimolo alla crescita, sia essa culturale, etica o caratteriale. Se si rimane fermi al proprio posto non si cresce mai, e ciò non consentirà di aumentare la propria sicurezza!

Vi è un tipo di sicurezza che vale la pena di perseguire, ed è la sicurezza interiore che consiste nella fiducia in se stessi, nel sapere che, qualsiasi cosa accada, si saprà farvi fronte.

Ma è arduo “andarsene per essere libero”, finché ti porti dentro la convinzione che devi avere successo.

E’ molto più facile rimanere nel proprio posto, non si corrono rischi!

Ma per chi vuol correrli, vediamo come poter affrontare l’ignoto:

Cerca, in maniera selettiva di sperimentare nuove cose, anche se sei tentato di mantenere le tue abitudini.

Rinuncia a voler sempre avere ragione per tutto ciò che fai. Puoi fare quello che decidi di fare, per il semplice fatto che lo desideri.

Comincia a correre qualcuno dei rischi che fanno parte della routine. Ad esempio parla con una persona che hai evitato perché temevi di non sapere quello che poteva succedere.

Corri un rischio che potrebbe comportare una sorta di rivoluzione nella tua vita, ma che potrebbe rivelarsi cospicuamente redditizio, in ogni senso.

Ogni qualvolta ti sorprendi a evitare ciò che non conosci, domandati: “Qual è la cosa peggiore che potrebbe capitarmi?” è probabile che ti avveda che le paure dell’ignoto sono sproporzionate rispetto alle conseguenze reali.

Ricorda che la paura di sbagliare è più spesso paura di essere ridicolo o disapprovato. Se lasci che gli altri si tengano le loro opinioni, le quali nulla hanno a che vedere con te, puoi cominciare a valutare il tuo comportamento secondo i tuoi, e non i loro, criteri di giudizio. Stimerai le tue capacità, non già migliori o peggiori, bensì semplicemente diverse da quelle degli altri.

Se invece di colorare di convinzioni la realtà, ti concedi l’esperienza del presente, scopri che l’ignoto è meraviglioso.

Quante volte è  capitato nella vita di rimandare qualcosa, semplicemente perché in quella situazione non ci ritenevamo pronti, se penso a tutte le telefonate che ho rimandato o che non ho mai fatto per tale motivo, riempirei un libro.

Ma per quanto riguarda la maggior parte della gente, la procrastinazione equivale a una fuga dal presente: i più così facendo non vivono il presente con tutta la pienezza possibile.

Le cose non si risolvono mai da sole.

Restano esattamente come sono. E se la tua vita è migliorata, è perché hai fatto qualcosa di costruttivo per renderla migliore.

Vediamo quindi alcune tecniche per imparare a non rimandare.

Decidi di vivere a pieno cinque minuti per volta. Invece di pensare a impegni a lungo termine, pensa al presente e cerca di riempire cinque minuti con la cosa che intendi fare, rifiutandoti di rimandare ciò che potrebbe darti soddisfazione.

Domandati: qual è la cosa che potrebbe capitarmi se facessi quello che sto rimandando? Fissa il giorno e l’ora e dedicati esclusivamente alla cosa che da tempo rimandi.

Esamina attentamente il presente. Identifica esattamente che cos’è che stai evitando e affronta la paura di vivere a tutti gli effetti.

Così si affrontano i problemi: agendo adesso!

A quanto scritto è possibile aggiungere considerazioni o modifiche ogni giorno, in base alla propria esperienza e stato d’animo, ho voluto comunque evidenziare quelli che secondo me sono i principali problemi che incontro sui quali ritengo debba mettersi maggiore attenzione.